Gaston Bachelard e la logosfera

I miei primi ricordi legati alla radio risalgono all’infanzia, quando a mezzogiorno, con la famiglia riunita a tavola, andava in onda il radiogiornale e noi bambini dovevamo rispettare il silenzio imposto dai genitori. Per me – figlio di divorziati – quel momento di raccoglimento aveva un significato in più, dal momento che dall’etere arrivava la voce di mio padre, giornalista radiofonico, che a quei tempi non vedevo molto spesso.

Ricordo ancora il sentimento di familiarità nel sentirlo, ma anche di straniamento: il suo modo di parlare era diverso e poi non parlava solo a me, ma a un pubblico di persone sconosciute, al di fuori del cerchio familiare. Ero fiero e insieme un po’ geloso.

Negli anni Ottanta, da adolescente, la radio era entrata nella mia stanzetta come una compagna intima e misteriosa, che portava nelle mie notti voci sconosciute che parlavano lingue incomprensibili, esotiche. Stavo ore a cercare di sintonizzare canali stranieri il cui segnale arrivava a ondate, ciclicamente: Forte – debole – impercettibile e poi di nuovo forte e via così, senza fine.

Percepivo la distanza in quelle voci, molte delle quali venivano dall’Est Europa. E’ difficile da spiegare, oggi, cosa volesse dire nella vita quotidiana vivere in un’Europa divisa in due e quanta distanza ci fosse tra due mondi impegnati in una guerra di propaganda di cui la radio era l’arma principale.

Così per me la radio, oltre che avere un aspetto famigliare (oggi anch’io faccio il giornalista radiofonico…) è anche legata alla notte, all’intimità, al silenzio.

Per Gaston Bachelard, scrittore e filosofo francese che alla radio ha dedicato uno scritto curioso intitolato “Rêverie et radio”,

“La radio è veramente la realizzazione integrale, la realizzazione quotidiana della psiche umana”